Valerio Adami

opere grafiche
2RC Roma – Milano – 1991

Il trillo del Diavolo – 1987

incisione

Early morning – 1985

incisione

Leone – 1984

incisione

Uomo in macchina – 1987

incisione

Senza titolo – 1987

incisione

Testo di Enzo Bilardello

Cominciamo dai colori. Uno crede che l’immagine, pervasa da campiture distese ed omogenee, sia composta di appena tre colori e, invece, scopre che per realizzarla ce ne son voluti sette. E una proprietà delle opere d’arte sorprendere in pieno lo spettatore quando questi crede di averle in pugno. Così è della semplicità, sempre apparente, mai ovvia. E poi, la semplicità è un traguardo e per comprenderla il fruitore deve compiere almeno la metà dei giri tortuosi nei quali si è invischiato l’artista prima d’individuarla e di governarla.

Ad un giudizio sommario, le immagini concepite da Valerio Adami denunciano una qualche parentela con quelle dei fumetto. Il disegno al tratto, compendiario e vistoso come un solco, le campiture estese, i colori piatti, privi di grandi modulazioni. Tutto porterebbe a credere che si tratti di una variante astuta, personale, di una tecnica espressiva esistente ed in auge da secoli, restituita alle attenzioni dei musei e dei collezionisti dalla diffusione del gusto pop e dei lavoro di Lichtenstein in particolare.

Ma sì, riconosciamolo pure: il fumetto ha un’origine aulica: risale alle figure dei santi allineati sulle pareti delle chiese medievali, con i piedi penzoloni e l’inseparabile filatterio a declinare nome e virtù. Siccome il popolo e, se per questo, il colto e l’inclita, in linea di principio, non si sono mai innalzati da quel livello di analfabetismo devoto, ecco la necessità di protrarre nel tempo l’arte del fumetto, solo laicizzandola un po” indiani e gangsters al posto dei santi, passioni proibite in luogo delle visioni di santa Brigida.

Il fumetto ha un’esigenza di chiarezza informativa secca e precisa. Può abbondare in dettagli e in disseminazione di oggetti, ma tutto dev’essere perspicuo e leggibile. Forma e informazione devono fare un tutt’uno, quasi si trattasse di segnaletica stradale. Non è ammessa ambiguità alcuna, pena la condanna all’incomunicabilità. li fumetto, la strip, può essere il primo gradino verso l’arte e si rivolge ad un pubblico dalle capacità ermeneutiche molto ridotte. Passiamo alla redazione che ne dà Lichtenstein. In lui c’è una riassunzione in blow up di un riquadro qualsiasi di fumetto popolare; egli vi aggiunge un reticolo pazientemente lavorato, ad imitazione di una fotografia ingrandita. Quindi c’è una immagine prelevata da un contesto come un ready made di Duchamp e un intervento pittorico che simula un procedimento meccanico. L’impatto sullo spettatore è frutto di una calcolata clonazione: si simula la tecnica dei procedimenti fotomeccanici di riproduzione avvalendosi della manualità artigianale dei pittore.

Valerlo Adami segue tutt’altro percorso. Come i suoi colori sembran due o tre e sono cinque o sette, così la storia che viene raffigurata sembra chiara e invece è indecifrabile. In Adami l’immagine vien prima dei procedimento deputato per conseguirla. Del resto, le sue credenziali storiche, i suoi ascendenti, sono da ricercarsi altrove.

A me vien fatto di pensare agli spazzi dei duomo di Siena, a quei disegni incisi sul marmo con una linea essenziale che non può indugiare e chiaroscurare come se si trattasse di carta e matita grassa. Per scalfire il marmo serve una mano decisa come quella di Fontana quando operava i tagli sulla tela. Ce l’avevano Neroccio, il Pinturicchio, il Beccafumi, e altri meno noti; resta una bella idea quella di fare un disegno tridimensionale sul marmo. Lo stesso dicasi per le acquetinte e le acqueforti di Adami, dove la stessa baldanza si esercita su lastre di rame.

Il disegno è compendiario, uno sguardo distratto percepisce un quadretto rassicurante e invece si sente odore di zolfo e di diavolo intrufolatosi in sagrestia. Il poeta drammatico, sdraiato in vasca da bagno, è una rievocazione di Jean Paul Marat oppure un aggiornamento di una fantasia di Savinio? Che allegoria cela quell’alpinista che ascende verso un picco di montagna, col tempietto stampigliato sulle ciambelle di salvataggio e il rastrello per terra? L’allegoria medievale raccontava una storia compiuta per alluderne ad un’altra più difficile. In Adami l’allegoria rispecchia se stessa; la storia è ambigua e, se allude, rimanda ad un’altra ambiguità.

Consideriamo il foglio intitolato Mattino presto: dove siamo? In un campeggio dei Club Méditerranée? Dove lavorerà quel rasoio? Sul volto dei personaggio indecidibile (maschio, femmina, animale?) oppure sulla bestiola che tiene in grembo?

Nel Trillo del diavolo trovo più rassicurante il diavolo. Almeno si sa chi è. Il violinista è solo una maschera coronata di lauro; cosa che lo apparenta all’inganno della Venere impudica che bacia Amore nel dipinto del Bronzino. Inoltre, la Donna col fucile in un paesaggio post dechirichiano mi fa pensare a quei personaggi dei film di Feiffer, di Bogdanovich, di Altman che, ad un certo punto, dopo aver commesso con fatuità un sacco di sconvenienze tollerate e perdonate nella società dei consumi, tornano in sé in un sussulto di resipiscenza e allora ammazzano tutti coloro che gli capitano intorno con scrupolo scientifico.

La mia predilezione va a Medea dove tutti i cascami dei biedermeier sono messi alla berlina in una luce di crepuscolo che si è incorporata alle figure. La pianista – Clara Schumann? Marta Argerich? – in ginocchio, nudi i piedi, un seno prosperoso cerca non si sa che cosa, mentre uno spasimante teratomorfo si contorce, forse al suono di dissolvenza delle ultime note. In tutto questo, i passaggi tonali consentiti dall’acquatinta, le linee insistite che rafforzano la struttura dei corpi o dei paesaggi, intensificano la forza di un disegno che via via che si decifra come immagine e non come significato, si rivela alquanto più complesso e meno ovvia di quanto ci illudevamo.

Si, Adami non è solo un disegnatore perverso al punto giusto. Conosce anche le sfumature dei suo mestiere, sa quali sono i mezzi giusti per depistare lo spettatore e tuttavia tenerlo incollato alle proprie tracce. Anche i colori: rossi, gialli, verdi, bruni, son quelli che ricorrono più spesso nella nostra consuetudine ottica e finiscono per approdare all’inconsueto, alla sorpresa.

Adami è un alieno quietamente infiltratosi nella nostra quotidianità!