Alberto Burri
opere grafiche
2RC Roma – Milano – 1983
A cura di Cesare Brandi
L‘attività grafica di Burri si presenta, sulle prime, come un parallelo a quella che si svolge nei quadri: a volersi esprimere musicalmente, come un canone, perché la grafica riprende la prima, con un dialogo che propone lo stesso tema con un timbro appena diverso. Ma posto così, il problema, lascia insoddisfatti: si subdora che è vero solo fino ad un certo punto. E innanzi tutto conta l’impaginatura. Ouesta, in qualsiasi caso di incisione, è un modo di spazializzare che non compete alla pittura: la quale si serva pure della cornice o anche di un passe-par-tout per raccordare la propria spazialità a quella della parete e dell’ambiente, non fa tutt’uno con la cornice, neppure se questa sia infissa originariamente: sono pochissimi i casi, della pittura antica, in cui la cornice è « chiamata » a collaborare, integrata con la figurazione. Viceversa, per l’incisione, ben presto ci si è accorti che il margine bianco era solidale all’immagine assai più che la cornice al dipinto: una stampa emarginata diminuisce, per ciò, anche commercialmente, di valore. Ma perché è « amputata » nella sua spazialità di incisione, non in quello che eventualmente rappresenta, che può rimanere intatto.Un’opposizione simile si riscontra allora anche nei senso dell’incisione, rispetto a quello dei disegno. Nel disegno il tratto è diretto, estemporaneo, sempre in fieri, e il suo pregio maggiore è di farci sorprendere questa gestazione interna dell’immagine. Viceversa il tratto dell’incisione è al passato: e niente lo dimostra meglio dei vari stati di un’incisione; mentre il disegno preparatorio ci incammina verso un’immagine che si profila all’orizzonte ma non si sa se si produrrà, e come, in definitiva, si produrrà. Ogni stato di incisione non ci preannuncia che se stessa. Il successivo stato riassorbe e rielabora il primo, non lo prosegue.
Nell’ìncisione c’è il passato irreversibile, nel disegno una proiezione sul futuro. Questo fa si che anche il particolare modo dell’« astanza » subisce uno spostamento. Ma si dirà, questa opposizione può valere per disegno e incisione, non per incisione e pittura. Anche la pittura è al passato: il suo presente immobile non si dà nel futuro, ma in un illimitato presente, come l’incisione. Pure questa equiparazione si rivela semplicistica. E niente meglio della grafica di Burri ci aiuta a spiegarcene il perché. Con lui infatti si hanno delle serie parallele, in cui il medesimo motivò plastico si vede attuato sia nel quadro che nell’incisione, sicché si potrebbe credere, l’incisione, un quadro più piccolo. Ma qui entra allora l’impaginazione, quella spazíeggiatura sul foglio che focalizza l’immagine in un modo tale, per cui il margine non è un raccordo alle pareti, come la cornice per il quadro, ma un «campo» indissolubile dell’immagine, un po’ come se l’incisione portasse con sé solidalmente la sua parete invisibile. Il concetto di «campo» aiuta allora a capire la particolare struttura dell’immagine neli’incisione, che nella sua spazieggiatura possiede più che una cassa dì risonanza, anzi la modalità stessa d’apparizione, come il silenzio che, in una musica di Webern, è consustanziale alla nota, ha quasi più importanza, spaesandola da qualsiasi tonalità, della nota stessa.
Se, di quella spazieggiatura, l’incisione può fare a meno, allora non si tratta che di una riproduzione, di un dipinto, magari pregevole per la tecnica con cui è eseguita, ma che non dà una presenza diversa dal dipinto, anzi ne costituisce un duplicato affievolito.
In Burri parallelamente all’attività pittorica, si è dichiarata presto la direzione grafica. In quei rari e preziosi esemplari di libro, che furono le poesie di Emilio Villa (risalgono al 1953), Burri tracciava a penna (oltre a piccoli inserti, anche di foglia d’oro) delle linee irreversibili e immutabili come con il bulino; era già avvertire la diversità costituzionale della grafica rispetto alla pittura e al disegno, perché il disegno stesso preludeva l’incisione. In un pittore come Capogrossi grafica e pittura fanno tutt’uno, perché la pittura è pensata in termini di grafica, e se la pittura non ha margini, se li ricostruisce nella mente dell’osservatore proprio in quei moti orizzontali o trasversali di segni che un taglio improvviso interrompe come i margini di una lastra. Insomma, la pittura di Capogrossi, si spazieggia, si arroga uno spazio bianco perimetrale.
In Morandi modi figurativi elaborati nella grafica – il colore di posizione – poterono trapassare in pittura e convalidarla in una accezione unica dei tono; ma la grafica di Morandi non è mai un duplicato della pittura, né solo per la diversità dei medium tecnico.
Si veda ora la serie delle incisioni di Burri in bianco e nero.Non è casuale, certo, che la massima attività di Burri grafico si sia svolta in quest’ultimo periodo- della sua pittura, dal 1964 in poi, in cui grandi chiazze nere, carbonizzate come l’occhio di Polifemo, campeggiano su un fondo bianco o sono come intercise da una sciarpa di nebbia, una membrana di plastica. Coteste forme imprecise e perentorie, per nulla gestanti, ma fisse e inconfondibili, come un braccio o una mano, sembrano quelle che i grammatici chiamano parole vuote, ma non furono vuote, significarono in un tempo lontanissimo, in uno stadio remoto di una lingua, ed ora non significano ma servono ad articolare il discorso. Ebbene queste parole vuote di Burri, sembrano pensate ancora più che per l’incisione che per la pittura. Nell’incisione, come le case o i poggi che si sollevano dalla piena, appaiono centrate in questa loro, regione bianca, che appunto diviene il «campo» entro cui si equilibrano le tensioni originate dall’immagine; la quale, rigorosamente proiettata sul piano, sottilmente si interfoglia fra un velo di plastica, il fondo bianco, il largo margine dei foglio di carta. Dì questa improvvisa spazializzazione in profondità, ma come a libro chiuso, l’incisíone dà a vista l’esito spaziale, l’arricchimento figurativo indubbio, rispetto al dipinto.
Anche nei Cretti, in confronto coi Cretti pittorici che ne costituiscono la matrice, la spazieggiatura dei fondo, per quanto minima, la sfrangiatura dei margini dei foglio di carta da un lato neutralizzano la reale profondità del Cretto, dall’altro lo ridistendono nella sua pensata e grafica bidimensionalità. Anche il gioco della luce risulta modificato rispetto ai quadri, diciamo così, omologhi.Il foglio di carta funziona infatti da emittente: la luce che rimanda è come se la proiettasse al modo della campana di un lume: riflesso e sorgivo.L’ambiguità della pittura sugli specchi sta proprio in questo porsi della luce dietro la pittura, che invece non l’avverte, e resta come fosse dipinta su un piano opaco. Ma il foglio di carta dell’incisione impregna della sua luce l’incisione, che può porsi come trasparente. appena ridotto a pochi contorni. Donde la grande luminosità delle incisioni di Burri che posano sul bianco, come non solo le Plastiche e i Cretti bianchi, ma le Combustioni e le piccole serigrafie, che saranno una bella sorpresa per chi non immagina Burri che in bianco e nero o con i rossi torvi e le sbavature giallastre delle Combustioni. E sembra veramente impossibile che, con mezzi propri della grafica, con lastre sovrapposte, Valter Rossi lo stampatore sia arrivato a restituirci così integralmente l’aspetto dei bruciaticcio, quel che di volatile e instabile rimane sempre nelle Combustioni.
Una parola è parte meritano i Cretti neri, perché qui anche il breve bordo che li recinge e nero. Si perde, dunque, il chiarore diffuso dei foglio bianco, e sorge in sua vece un’ombra densa che avvampa la superficie screpolata, la risale come una marea densa, e sembra sostare fra i cretti. Ma è chiaro che l’irrorazione che riceve l’incisione è la stessa, seppure coi segno negativo. L’ombra come una luce spenta.