George Segal

opere grafiche
2RC Roma – Milano – 1987

Portraits – Walter – 1987

incisione

Portraits – Rena – 1987

incisione

Portraits – Menasha – 1987

incisione

Portraits – Helen III – 1987

incisione

Portraits – Helen II – 1987

incisione

Portraits – Helen I – 1987

incisione

Testo di Marisa Volpi

I ritratti di George Segal, eseguiti in acquatinta, puntasecca e ceramolle su rame, sembrano echeggiare le ombre di Rembrandt e di Redon, senza evitare tuttavia a consequenzialità storica ineludibile della modernità.

Mi ricordo come una delle esperienze più violente dell’arte contemporanea i suoi calchi in gesso di figure umane, in attitudini quotidiane, seduti ad un tavolo dello snack bar, in piedi accanto a una pompa di benzina o sotto una réclame al néon. Gli oggetti dello scenario sono veri – oggetti trovati – la figura, uomo o donna, di gesso. La metafora della sparizione e fin troppo chiara, ma lo spazio ne riceve un’intensità malinconica, o addirittura cupa, e sempre coinvolgente grazie forse alla semplicità dell’idea e alla radice profonda che essa ha nel pensiero dell’artista

Segal non e un artista con il quale si possa eliminare un confronto diretto, includendolo in un’etichetta – vent’anni fa la pop , e ora ? – Il drammatico, quasi espressionistico. appello alla vita, il carattere testimoniale, perfino politico, ne hanno dominato l’estetica, oltre che l’arte, anche se l’effetto metafisico dei suoi solitari, nell’ipercivilizzato mondo urbano, ricorda singolarmente la pittura del grande Hopper .

E ora ci arrivano questi ritratti incisi, sembra che il tema dell’impronta non sia cambiato, ma e come se questa volta l’artista volesse intervenire in prima persona. Nel lavorarli ci comunica la sua ammirazione per le concrezioni materiche e l’illusionismo; di Rembrandt, anche se il suo occhio attento guarda volti familiari, contemporanei, che hanno subìto alterazioni ben diverse da quelle dell’uomo del XVII secolo.

Uomini e donne questa volta lasciano un’impronta nel nero dell’acquatinta, impronta seguita dall’artista con un pathos diverso, da persona a persona, mentre nelle sculture l’oggettività tecnica del calco realizzava l’impronta come una fascia mortuaria dell’intero corno.

L’artista lavora con un segno analitico, graffiando, incidendo rughe, capelli, lineamenti, ma anche diverrebbe virtuosismo: si vedano in bicchiere, il vaso, le boccette, una specie di natura sul tavolo bianco davanti al ritratto femminile pensieroso.

Soprattutto i volti sono come aggrediti da uno sguardo ossessivo e, stranamente, anche visionario – il nero glielo permette -. Dunque Segal dalla quotidianità dell’espressione qualunque innalza i soggetti, all’improvviso, verso uno stravolgimento, carica. un particolare – capelli, occhi, pelle, tagli di luce – e arriva a raccontarci una bizzarria, una animalità, una tristezza un mistero dell’uomo.

Ed e anche per questa forza del segno, che resiste alla grandiosità delle misure, che, in queste incisioni i protagonisti, non solo non perdono, ma accentuano l’idea monumentale tipica di Segal. È come se l’artista difronte all’appiattamento subìto dall’uomo – massa contemporaneo, tendesse a ricordarci l’individuale nella sua peculiarità – non a caso rembrandtiana. L’enfasi delle grandi apparizioni evita in partenza ogni possibile melodrammaticità, poiché esse, nella loro magniloquenze, sono tuttavia dominate e rivelate dal nero.

Mi viene alla memoria appunto Odilon Redon “I pensatori amano l’ ombra, essi vi passeggiano, e vi scherzano, come se le loro menti si trovassero nel loro elemento” Si tratta in questi volti di scherzi della natura e della società deve l’uomo singolo patisce un in più di coscienza che non gli viene restituito.