Janine Von Thungen

sculture e suono
2RC Roma – 2003

Installazione della mostra

2003

Installazione della mostra

2003

Installazione della mostra

2003

Installazione della mostra

2003

A cura di Marianna Vecellio

Tre volte – ci separammo – il respiro – e io –

tre volte – non volle andare –

ma cercò di smuovere il ventaglio spento

che le acque – cercavano di arrestare.

Vi sono molte donne artiste che hanno deciso di porre come scopo della loro ricerca il complesso rapporto vita/morte e di affrontare nel loro cammino creativo il tema della nascita.

Eva Hesse, Kiki Smith, Rebecca Horn, Louise Bourgeois, condividono tutte lo stesso percorso di donne e creatrici, in un farsi reciproco le une nelle altre. Attraverso modalità femminili, esaminano gli enigmi uterini, percorrono le anse del lavorare la materia. Straziano, violano, subiscono il corpo. Incarnando una capacità tutta femminile, esse divengono consapevoli della coraggiosa scelta di lasciare da parte l’istinto ed imparare a gestire l’impegno di dare creazione alla vita con fare distaccato. Le sensuali resine di Eva Hesse, gli scalpi di Kiki Smith, le favolose macchine musicali di Rebecca Horn, i fantocci di Louise Bourgeois sembrano raccontare, attraverso i più disparati linguaggi storie simili, il mistero e il dramma di un universo così fortemente ancorato alle memorie femminili da ripetersi ciclicamente prima in noi poi nella creazione

.Tre volte – le onde mi gettarono a galla –

poi mi presero – come una palla –

poi mostrarono facce blu alla mia faccia –

e spinsero via una vela

che strisciava lontana – e mi piaceva vedere –

per pensare – mentre morivo –

che bello guardare una cosa

con sopra – visi umani –

Nel suo lungo cammino di scultrice e con il sussidio di molteplici mezzi espressivi, quali la fotografia, il suono, il linguaggio e i vari materiali, il lattice, la terra cotta, il bronzo, Janine von Thüngen mette in scena la creazione.In primo luogo in quanto madre, consapevole, archetipica, ancestrale, eterna, in secondo luogo in quanto artista, in un incessante rapporto di scambio, con tutte le responsabilità competenti.

Marlene Dumas, dice “I paint because I’m a woman”. Il messaggio è evidente, di una chiarezza sconcertante. Dipingo perchè è una necessità femminile, perchè sono donna, perchè essere donna vuol dire creare.

Janine von Thüngen scolpisce, elabora la materia, sceglie i mezzi del fare, per dare luogo alle visioni interiori del suo essere donna. Wasser Kinder è un lavoro frutto di un’esperienza introspettiva, di indagine, di immersione dentro noi stessi. Lo suggerisce l’elemento stesso: l’acqua, ricorrente nel lavoro dell’artista.

Janine von Thüngen riempe una sala vuota con otto teche uguali. Ogni teca ospita un oggetto. L’occhio indugia, ne decifra il senso, svela i contorni di un morbido sentire. Nove teste di dimensioni crescenti, otto nelle teche una a terra, trasformano la camera in un luogo magico, affidando allo spettatore il linguaggio per comprendere e investigare se stesso nella stanza della memoria e della trasformazione. Nove teste come nove figli. Un percorso fatto di passaggi, di stadi, di suoni, di immagini… sussurri, treno, allarme, amore, grida, pianto… Non c’è violenza, non si avverte la separazione, non c’è dramma, la dimensione dell’installazione lascia da parte lo strappo dal corpo. Il tono non è grave, poichè contempla la dimensione del gioco.

Wasser Kinder è un giardino d’infanzia, un luogo immaginario e privato di ognuno di noi: sfera dell’intimo, in cui attratti e respinti dal morbido percepire noi stessi, scorgiamo le memorie di un comune passato e ritroviamo nella grande testa a terra nascondiglio e rifugio.

Le onde si assopirono – il respiro – no –

I venti – come bambini – si quietarono –

Poi l’alba baciò la crisalide –

E io mi alzai – e vissi – (Emily Dickinson)