Doppio sogno dell’arte 

2RC fra artista e artefice
Luxun Academy of Fine Arts

Shenyang – 2009

Dopo il grande successo al Museo dell’Accademia Centrale di Pechino, con la quale la 2RC ha iniziato una collaborazione tecnico-artistica nel campo della ricerca sull’incisione, donando il grande Torchio Calcografico Decebalo (progettato da Valter Rossi nel 1969), la mostra itinerante “Doppio Sogno dell’Arte. 2RC – tra artista e artefice” viene presentata alla Luxun Academy of Fine Arts di Shenyang, con l’appoggio dell’Istituto Italiano di Cultura di Pechino.

La mostra “Doppio Sogno dell’Arte 2RC – tra artista e artefice” raccoglie 169 opere, di grandi dimensioni, degli artisti che hanno lavorato per la 2RC, presentando un’ampia collezione che attraversa la storia dell’arte dagli anni Sessanta ad oggi e offrendo al pubblico un ricchissimo panorama. Come ha scritto lo stesso Bonito Oliva nel saggio in catalogo, “ la collezione è l’attraversamento della storia dell’arte contemporanea dagli anni Sessanta ad oggi, al di fuori d’ogni limite generazionale e di poetica. Rappresenta un panorama, internazionale per presenza e qualità, assolutamente attendibile della creazione artistica della seconda metà del XX secolo ad oggi. Tradizione creativa tutta italiana”.

Gli artisti esposti sono: Valerio Adami, Afro, Pierre Alechinsky, Francis Bacon, Max Bill, Alberto Burri, Alexander Calder, Giuseppe Capogrossi, Eduardo Chillida, Francesco Clemente, Pietro Consagra, Enzo Cucchi, Piero Dorazio, Lucio Fontana, Sam Francis, Helen Frankenthaler, Adolph Gottlieb, Nancy Graves, Renato Guttuso, Jannis Kounellis, Yuri Kuper, Alexander Liberman, Giacomo Manzù, Henry Moore, Louise Nevelson, Victor Pasmore, A.R. Penck, Beverly Pepper, Arnaldo e Giò Pomodoro, Man Ray, Giuseppe Santomaso, Julian Schnabel, George Segal, Pierre Soulages, Graham Sutherland, Shu Takahashi, Joe Tilson, Walasse Ting e Victor Vasarely.

Philografia – Conferenza di Valter Rossi

A partire dagli anni ’50 quando, erroneamente, il termine stampa, nel settore degli amanti dell’arte, era considerato una forma di riproduzione, più o meno sofisticata. L’incisione veniva applicata raramente dagli artisti nel loro procedere. Pochi artisti fecero scuola di incisione “Hayter”, per esempio, che venne seguito da alcuni artisti solo curiosi del suo nuovo metodo di stampa, ripetendo, il più delle volte, il gesto tecnico tipico del grande maestro incisore.

Questa parte è già da ritenersi un primo grande passo verso la ricerca, pur rimanendo uno dei pochi esempi di quell’epoca, non insegnò nulla agli addetti che, nelle varie stamperie e accademie di grafica nel mondo, hanno ripetuto senza alcuna innovazione, agganciandosi più che mai alle tecniche tradizionali.

Questo è quello che capimmo immediatamente e che ci convinse a partire da zero, utilizzando la sfida lanciataci da Lucio Fontana. Da qui nasce la nostra ricerca che, da quel momento in poi, fu la nostra vera motivazione e riferimento continuo.

La ricerca andava fatta in funzione di un uno studio continuo e profondo, su quanto avveniva nel mondo della arti figurative.

L’amore che avevamo per l’arte, consolidato frequentando Brera, ci aveva dato la possibilità di conoscere docenti di grande livello (Guido Ballo) e, da loro, apprendere come, attraverso la critica, si poteva riuscire a cogliere il profilo degli artisti che nel tempo si delineavano nelle diverse correnti e che in funzione della loro vicinanza artistica al mondo della grafica, potevano essere da noi sollecitati, oltre che dai risultati, da spunti e provocazioni, che fino a quel momento potevamo offrire.

Il tempo non si poteva considerare perché, sin dagli inizi, gli artisti sui quali avevamo puntato erano tra i più difficili da raggiungere, con una notevole protezione della loro privacy anche da parte delle loro gallerie. Ogni volta fu un grande lavoro di studio e approfondimento, non solo del loro particolare modo di lavorare, ma anche dei loro sogni, del carattere e delle loro follie; utili ad arrivare preparati al contatto ed all’incontro. La parte psicologica giocava un ruolo fondamentale, sapere a priori quanta attenzione, discrezione e modestia dedicare. Eravamo molto giovani per poter dimostrare quanto potevamo fare per loro, e loro non sapevano quanto eravamo disposti a mettere in gioco. La qualità andava ricercata proprio laddove si manifestava il limite della pittura e della scultura, dove la tecnica dell’incisione riesce a far emergere la parte istintiva, mediata da una tecnica indiretta che, come propensione, rinvia l’immagine ad un processo successivo (la stampa della prima prova) che ti consente di verificare i vari stadi, evitando i pentimenti che nella pittura e nella scultura, il più delle volte, tolgono freschezza all’opera mentre, in incisione, ogni intervento la fa crescere portandola ad un valore irripetibile in altre tecniche pittoriche.

Tutto era proiettato alla lettura delle visioni degli artisti che con le loro provocazioni ci sollecitavano a trovare soluzioni dove, più della tecnica in se, serviva l’invenzione che li avrebbe convinti.

Avremmo dovuto formulare una diversa filosofia grafica quella che oggi ci fa pensare ad un nome “PHILOGRAPHIA” che la identificasse, che la qualificasse, che la differenziasse filosoficamente in modo chiaro e che la isolasse da tutto il resto per i suoi chiari valori e contenuti.

Gli anni e i mesi passavano sollecitati da perenni sfide e la nostra vita si alimentava di continue speranze e gioie, contribuendo alla miglior riuscita delle opere grafiche con tutto noi stessi. Chiunque, in quel circuito, dava il suo meglio perché sapeva di essere osservato da una platea di esperti, che non concedevano riposo.

La stessa platea diventava attore e i personaggi principali: gli artisti, gli artefici, i tecnici dovevano dare il massimo perché sollecitati dalla totale disponibilità di tutti. Per disponibilità si intende tutta l’esperienza pregressa   di tutti gli attori coinvolti che, con le loro partecipazioni e presenze, hanno man mano creato un’“ anima” autonoma a disposizione dell’artista che la utilizzava e l’arricchiva al tempo stesso.

Le dimensione impossibili erano solo da immaginare, il numero di colori e la loro qualità non avevano limiti, la tecnica con la quale potevano liberamente muoversi era nelle loro mani, rendendosi concretamente conto che stavano in un mondo che li aiutava a scoprire nuove possibilità anche all’interno del loro esclusivo lavoro.

Gli artisti per lunghi periodi hanno vissuto con noi dei veri Full immersion: nel nostro studio, nella nostra casa, nei loro atelier, nelle loro case, in ambienti creati apposta e trasferibili presso gli artisti, per poter sperimentare nella piena libertà di tempo e di tecnica.

Si passavano intere giornate meditando, riflettendo sugli sviluppi e le implicazioni che sarebbero sopraggiunte e come risolverle, magari raccogliendo con Nancy Graves foglie e fiori nel giardino e nel bosco, per poi creare soluzioni compositive che, inesorabilmente, sarebbero sopraggiunte; tutto intervallato da pranzi e cene che Eleonora inventava, per l’agio degli artisti e degli ospiti, all’Ara Coeli, alle Teme di Caracalla, in Broome Street, piuttosto che a Montouk (Long Island) dove, con Julian Schnabel, ci si alternava tra cene a base di frutti di mare ed il lavoro sulle lastre di rame nel suo studio-anfiteatro all’aperto, sotto il sole e con il rischio continuo dell’acido che si asciugava troppo rapidamente.

La nostra capacità nel saper cogliere i tempi, i momenti ideali per proporre o

iniziare il lavoro che bramavamo da tempo, veniva dalla splendida e formativa esperienza con Burri che ci aveva fatto ben capire che da noi si pretendeva ciò che non esisteva, oltre il rigore ed il non scendere mai a compromessi.

La magia di Sam Francis ci portò fino a Point Ryes (California), in un piccolo Motel su palafitte, affacciato su una baia del Pacifico, dove restammo per cinquantanove giorni. L’inizio fu bruciante, Sam ormai non aveva più bisogno di immaginare approssimativamente i risultati futuri, era ormai sicuro e andava oltre. Da sognatore che era, si sorprendeva a sbalordirsi di un immagine da lui stesso creata, e così produsse un gran numero di soggetti. Questa grande fatica ci rivelò quanto gli costava dopo che i terapisti ci misero diversi giorni per riportare Sam ad una situazione di normalità e ci rendemmo conto che lo splendido lavoro fatto era un vero e proprio omaggio alla vita: le forme, i ritmi, la luminosità del colore, la tensione, la vibrazione, l’equilibrio e la gioia… metteva l’arte al di sopra della propria stessa vita.

E’ la passione che spingeva me a trovare soluzioni per molti impensabili, in ogni momento e in qualunque modo: dalla tecnica incisoria, in tutte le sue possibili elaborazioni, alla ricerca dei materiali, alla progettazione e costruzione delle macchine da stampa e tutta l’attrezzatura utile nei vari passaggi delle tecniche che venivano prima sperimentate e poi applicate. Collaborare con le cartiere per produrre carta di grandi formati con le caratteristiche migliori per la stampa in incisione, e tutto quello che istintivamente risolvevo per aprire varchi di possibilità future. E’ la passione che moltiplicava il sapere di Eleonora nell’immaginare preventivamente i colori che l’artista aveva nelle tavolozza della sua mente e che avrebbe voluto esprimere. Sembra semplice, ma così non è, perché è una dote assolutamente rara, devo dire irripetibile al suo livello. Standogli vicino, in tanti anni, mi sono reso conto che partendo dai suoi presupposti, con modestia, è possibile raggiungere buoni risultati ma bisogna in ogni caso iniziare con piccole dosi di colore e cercare la base da cui partire e da lì sempre a piccolissime dosi accostare i colori che abbiano la complementarietà utile al raggiungimento del colore voluto dall’artista, comunque per Eleonora è tutto più semplice , data dalla sua innata sensibilità. Non c’è stato, in 50 anni, un solo artista che non sia rimasto sbalordito. Si rendevano conto dalla prima prova che Eleonora era entrata nel loro mondo spianandogli un terreno dove il colore, nel momento della stampa, dipende dalla lastra e dal trattamento a cui è stata sottoposta, non più dal pennello, ed era necessario vivere l’atto tecnico strettamente vicini, sapendo dove l’artista voleva giungere, per capire come il colore sarebbe apparso sulla carta sorprendendo, anche noi il più delle volte.