Studio di Man Ray e Sonia Delaunay

Parigi
Testo di Valter Rossi da La vita è segno

Man Ray

Il suggerimento dell’ Hotel Esmeralda ci fu dato da Man Ray, pittore fotografo americano, che, già al primo incontro, capì quanto eravamo innamorati e ci vide subito a nostro agio nel suo fantasioso e anticonvenzionale studio-casa. Luogo assolutamente fuori dai canoni pensabili.

In quella prima giornata cercammo di stupirci a vicenda con fatti e battute che ci appartenevano da vicino. Fu una cosa spontanea, come può avvenire con amici di lunga data; sembrava quasi un gioco.

Man Ray amava sorprenderti, il suo sguardo, da vero osservatore, captava ogni nostro gesto e stabiliva, con pochi flash, un percorso da regista esperto, mettendoci alla prova con arguzia, avendo modo di valutare e stabilire quanto del suo tempo dedicarti.

Durante una delle nostre divertenti conversazioni, in compagnia di Eleonora e Juliet moglie e modella delle sue più belle fotografie, mi ero seduto, per caso, di fronte a lui.

 Ad un certo momento ebbi la sensazione che qualcosa mi si muovesse intorno, provocandomi, quasi, un fastidio.

La conversazione era così interessante da non permettermi di approfondire cos’era in realtà.

La curiosità, che è sempre stata il mio tallone d’Achille, ad un certo punto prevalse e mi interruppi per accertare il motivo di questa mia sensazione.

Alle mie spalle, da un piccolo foglio di carta fermato alla parete con due puntine, usciva un pelo lunghissimo che, stranamente, puntava nella direzione del mio orecchio. Era come se mi toccasse: dunque era quello il fastidio; mi spostai per evitarlo. Solo allora mi accorsi che il pelo era stato disegnato, con cura e precisione, da Man Ray per valutare le reazioni di chi si sedeva in quella posizione.

Mi meritai 10 e lode.

Probabilmente entrammo, da subito, nel suo focus. Stabilimmo incontri assolutamente originali e frequenti che portarono a una prima fase di lavoro in cui si impegnò in prima persona Eleonora. Che si meritò la dedica sulla prima stampa: “Bravo, Eleonora, pour les hombres 28.11.72” .

Riuscimmo anche a realizzare una grande incisione-serigrafia dal titolo “Decantatore ’72” (Presenze grafiche) con difficoltà. Era impensabile per Man Ray venire a Roma.

Noi non avevamo ancora uno “studio ambulante” per poter fare un’immagine così grande. Fummo costretti a continui viaggi tra Roma e Parigi, risolvendo tutte le difficoltà.

Fu una grande sorpresa constatare che un grande artista del suo livello avesse, in quel momento, un così esiguo mercato. Fui felice di essere tra le persone che lo apprezzavano, dedicandogli il nostro tempo con gioia, speranzosi di contribuire a diffondere la sua immagine nel mondo della grafica.

Inaspettatamente, intorno al geniale artista, apparvero nuove presenze che tolsero quella semplice naturalezza che rendeva disinteressata la sua minima partecipazione al mercato. Abili mercanti intravidero la possibilità di replicare in multiplo qualche oggetto, creato con le sue mani, anni addietro.

Nelle varie visite che facevamo, queste repliche diventavano sempre più numerose, togliendo, a mio parere, quell’aria sognante di cui erano pieni gli originali, al di fuori della loro sconcertante semplicità.

È sicuramente stata un’operazione utile, non fosse altro perché permise alla geniale coppia di vivere gli ultimi anni della loro vita in un agio sognato, finalmente raggiunto. La cosa più importante fu la soddisfazione che, alla fine, il suo valore era stato riconosciuto in termini concreti.


Sonia Delaunay

Sonia Delaunay ci ricevette la prima volta nella sua abitazione. La sua presenza umana superava di gran lunga la sua maestosa presenza fisica. Si era talmente integrata con la poesia di Robert Delaunay, suo marito, che, dopo la sua scomparsa, si era assunta il ruolo di entrambi, continuando con amore e sorprendente personalità l’arte pittorica di Robert.

Ci mostrò molte litografie che aveva realizzato nel tempo, ma ci rendemmo conto che mancavano di intensità e di sostanza pittorica. Da lì partì la nostra ricerca, anche se eravamo limitati dal fatto che Sonia voleva realizzare una litografia perché ne conosceva la tecnica e non era pensabile, anche per l’età dell’Artista, proporre altro.

Arrivammo alla soluzione utilizzando dei colori impastati da noi, molto coprenti e solidi. Dopo ogni battuta veniva depositato, per caduta, sopra la superficie oleosa del colore, il pigmento in polvere oppure la terra dal quale era nato il colore. Per assorbimento, veniva catturato e amalgamato.

Ad essiccazione avvenuta, con un pennello leggerissimo, si spazzolava la polvere superflua, lasciando, come risultato, un colore vellutato e consistente.

Quando Sonia Delaunay vide la prima prova non ebbe dubbi a firmarla “bon à tirer”. L’accettò ancora prima di averla nelle proprie mani, guardandola dall’alto della balconata che si affacciava nel suo studio, dalla quale cercava di scendere raramente, per la sua ormai avanzata immobilità.

Quella volta pretese di scendere immediatamente.

Devo ancora soffermarmi sull’entusiasmo giovanile di questa generazione di Artisti che, nel caso di Sonia Delaunay, fu ancora più gratificante perché oltre all’entusiasmo generoso, l’analisi dell’opera fu fatta con una tale modestia che ci sorprese.